Il razzismo coloniale
Il 9 maggio 1936, a seguito della conquista dell’Etiopia Mussolini annunciò all’Italia e al mondo “la riapparizione dell’Impero sui colli fatali di Roma”.
La segnò il momento di massima adesione degli italiani al fascismo. Il regime dispiegò un grande apparato propagandistico per esaltare l’eroismo dei popoli “giovani” e la necessità della conquista di “un posto al sole”. Dopo la proclamazione delle sanzioni da parte della Società delle Nazioni, lo stesso apparato propagandistico fu mobilitato a difesa della politica autarchica, presentata come ulteriore dimostrazione dell’autonomia e della forza del fascismo italiano.
Per evitare gli “incroci razziali” un decreto dell’aprile 1937 vietò le “relazioni di indole coniugale” tra cittadini italiani e sudditi nelle colonie. Nel giugno del 1939 una legge istituì il reato di “lesione di prestigio di razza”.
Parallelamente crebbe la propaganda e la divulgazione di temi e stereotipi razzisti. Ampia fu la diffusione di una pubblicistica che – dalla stampa ai testi di carattere scientifico, dai romanzi ai fumetti – veicolava l’immagine di un popolo di che, come tale, era da dominare e civilizzare. La diversità diventava così sinonimo di inferiorità ed era continuamente ribadita la contrapposizione fra i neri deboli, inetti e corrotti e gli italiani, bianchi, nobili e forti.