Gli ebrei in Italia dal 1938 al 1943

L’applicazione delle leggi fu capillare grazie anche alla meticolosità con cui un’intera catena burocratica si impegnò per rispondere alle circolari con prontezza, per schedare e informare. Spesso non vi fu solo pedissequa obbedienza a ordini superiori, ma anche zelo personale aggiuntivo.

Gli ebrei vennero allontanati da pubblici e privati: l’esercito, gli impieghi statali, gran parte dei posti di lavoro privati, il partito fascista e le sue organizzazioni, le associazioni culturali e per il tempo libero. Si volle cancellare la loro presenza nella vita nazionale, e in ogni sua manifestazione: non dovevano più essere pubblicati e diffusi i loro libri, rappresentate le loro opere teatrali, suonate le loro musiche, proiettati i loro film; i nomi delle strade a loro intitolate andavano cambiati.

Il fra ebrei e non ebrei costituì la più profonda violazione di una integrazione che passava attraverso i vincoli familiari, ma i divieti relativi alle occasioni di incontro arrivarono fino a proibire partite comuni sui campi da tennis. Gli ebrei dovevano poter essere individuati come tali e la dicitura comparve su quasi tutti i documenti dagli atti di nascita alle pagelle, ai libretti di lavoro. I passaporti non riportarono tale dicitura allo scopo di favorire l’emigrazione.