Gli ebrei in Italia dal 1938 al 1943

Quando l’Italia entrò in guerra nel giugno del 1940, molti ebrei scrissero a Mussolini e al re sperando di poter andare . L’inizio del conflitto significò invece un aggravamento ulteriore della loro situazione; venne ripresa con rinnovata virulenza la insistendo soprattutto sulle responsabilità dell’“internazionale giudaica” nell’aver scatenato una nuova conflagrazione. Uno dei primi provvedimenti del governo fascista fu l’ di tutti gli ebrei stranieri e di quelli fra gli italiani considerati “pericolosi nelle contingenze belliche”. Il binomio ebreo-pericolo veniva così ribadito. Vennero allestiti numerosi campi di internamento nel centro-sud, il più grande a Ferramonti di Tarsia. Altri ebrei italiani e stranieri furono inviati in in località isolate. Nel clima generale creato dalla guerra, numerosi furono gli atti di come le aggressioni, le scritte antisemite, le devastazioni di sinagoghe. Nel maggio del 1942 venne decretata la per tutti gli ebrei, uomini e donne, che vennero adibiti a lavori manuali di varia natura.

Il 25 luglio 1943 Mussolini venne deposto e il maresciallo Badoglio fu incaricato dal re di formare un nuovo governo. L’8 settembre 1943 fu annunciata la firma dell’armistizio del Regno d’Italia con gli Alleati, sbarcati il 10 luglio in Sicilia. Nei quarantacinque giorni che intercorsero fra queste due date le condizioni degli ebrei in Italia non subirono sostanziali mutamenti.

Nonostante la speranza di una rapida abolizione e le richieste avanzate dai partiti antifascisti e da singoli cittadini italiani, le leggi antiebraiche non furono abrogate.